CAMPAGNA - Pastello di Flavio Zappitelli

21 novembre 2008

Un luogo del cuore

Questa lettera di Anna Bertinelli, una mia allieva di Yoga, ci darà l'occasione di meditare...

La felicità spesso si insinua attraverso una porta
che non sapevate di aver lasciato aperta.”
John Barrymore

Via Venezian, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori: fino a un paio di anni fa non ero incline a frequentare questo luogo che evocava in me immagini di teste calve, occhi spenti, corpi smagriti, e mi induceva a pensare alla sofferenza senza speranza e alla morte, due “belve” queste ultime che la mia parte razionale aveva difficoltà a domare.
Al nono ed ultimo piano dell’Istituto si trova una cappella, la “Cappellania Beato Papa Giovanni XXIII e Beato Cardinal Ferrari”, un luogo di culto molto essenziale ma suggestivo.
Di pianta rettangolare, la zona dell’altare è rialzata su una pedana di marmo bianchissimo. Anche l’altare, il leggio e le due poltrone sono di marmo candido, quasi ad indicare che quello è il luogo della purezza.
La parete posteriore all’altare è perlinata di legno scuro e, a circa due metri di altezza, diventa una grata lignea con un crocifisso, oltre la quale si intravede, più dietro, una vetrata variopinta nei colori del blu, azzurro e rosso, che crea un gioco di luci colorate molto suggestivo, visibile attraverso la grata.
Nell’angolo destro della chiesa, accanto alla zona dell’altare, si trova una statua della Madonna con il Figlio, ambedue con vesti bianchissime con decorazioni dorate.
Questa cappella è il luogo di ritiro e di preghiera dei tantissimi pazienti e familiari che frequentano l’Istituto.
All’entrata è posto un quaderno aperto che “gronda” non solo di centinaia di suppliche, ma di altrettanti ringraziamenti e atti di affidamento al Signore da parte dei visitatori.
Non mi era mai capitato di frequentare quel luogo di preghiera, finché, due anni fa, quattro righe di un referto mammografico hanno segnato una svolta nella mia esistenza.
Il giorno del mio primo ricovero all’Istituto, dopo aver percorso qualche volta il corridoio del reparto, sono sprofondata nello sgomento: avevo varcato la soglia di un luogo dove si perdono tutte le certezze e dove la vita non è più scontata.
Intorno a me era il vuoto.
Subito dopo ho sentito un richiamo a non rimanere ai “piani bassi”, ma ad elevarmi, e così ho preso l’ascensore e, dal terzo piano, sono salita fino al nono.
Entrata nella cappella, regnava il silenzio assoluto. C’era in quel momento solamente una donna curva sul suo banco che meditava. Mi sono inginocchiata e ho incominciato a fissare il Crocefisso appeso alla grata. Mi domandavo che senso avesse il trovarmi in quel luogo, lontana dalle mie creature in tenera età che mi aspettavano a casa e continuavano a chiedere di me.
Stavo ancora fissando il Crocefisso quando mi è sembrato di udire una voce, che parlava diritto al mio cuore e mi diceva che mi veniva offerta un’opportunità. “Macché! Un’opportunità? Ma che idiozia è questa?”, diceva la ragione, “Stai zitta, la voce sta parlando a me, poi cercherò di spiegarti tutto con calma”, ammoniva il cuore rivolto alla ragione.
Ebbene, mi veniva proprio data un’opportunità! Avevo la possibilità di penetrare uno strato più profondo dell’Esistenza, quello delle cose sempre valide e sempre vere, una dimensione che spesso non si riesce a raggiungere, perché ci si ferma allo strato superficiale.
Ecco che, dopo quella rivelazione, il mio sguardo non si fermava più al Crocefisso appeso alla grata, ma riusciva ad andare più in là, verso la luce. Dietro la croce della grata, che era la mia sofferenza, vedevo ora un mondo colorato, che scaturiva dai giochi della luce del sole che passava attraverso la vetrata blu, azzurra e rossa. Tanti pensieri affollavano la mia mente. Allora è possibile provare gioia anche nella sofferenza? O meglio, attraverso la sofferenza si impara ad assaporare altre gioie, quelle che non si esauriscono?
Dopo quella rinascita sono tornata tante volte nella cappella del nono piano. Alcuni giorni ero dolorante per le ferite appena suturate, altri ero prostrata e svuotata dalle terapie adiuvanti e una parrucca copriva la mia testa calva. Seduta ai primi banchi, i miei occhi guardavano verso l’angolo a destra dell’altare e incontravano ogni volta lo sguardo rassicurante della Madonna, che mi tranquillizzava sul destino dei miei figli: li aveva messi sotto il suo manto ed erano al sicuro.
Ad ogni visita nella cappella, il mio cuore si trovava a casa.
Mi è capitato anche di partecipare alla Santa Messa e lì il mio cuore si espandeva, e insieme agli altri malati mi pareva diventassimo un solo cuore; eravamo un pezzo di umanità accomunata dalla sofferenza: donne, uomini, bambini, ciascuno con il suo vissuto particolare, diversi e uguali allo stesso tempo.
Ultimamente vado di rado alla cappella che è molto distante dalla mia abitazione, ma so che in quel luogo mi è stata data veramente un’opportunità e sono stata aiutata a coglierla. Il mio cuore ha avuto un piccolissimo assaggio della gioia vera e ora non si accontenta più di vivere “ai piani bassi”, ma vuole volare in alto, dove c’è un mondo variopinto i cui colori non sbiadiranno mai.

Anna Bertinelli

1 commento:

Damiana ha detto...

grazie Anna, semplicemente Grazie per aver nutrito il mio cuore, in questo sabato mattina in cui ti leggo. Grazie per avermi ricordato l'importanza e la bellezza della Fede.
Damiana